
Omicidio Stefano Leo, ha confessato Said Machaouat. Il suo è stato un raptus di follia
“Volevo uccidere qualcuno. Non sopportavo la sua aria felice”, ha spiegato. Il dolore del padre: “Me l’hanno ucciso un’altra volta”
“L’ho ucciso perché fra i tanti mi sembrava felice”. A parlare è Said Machaouat, un ragazzo italiano di origine marocchina che ieri ha confessato di aver ucciso il 34enne Stefano Leo (la foto è di piemontetopnews.it) lo scorso 23 febbraio in riva al Po a Torino. Secondo il racconto fornito agli inquirenti la colpa di Stefano sarebbe stata quella di essere una persona solare, perennemente con il sorriso sulle labbra. Quel giorno stava andando a lavoro quando ha incrociato per caso lo sguardo di Said su un vialetto alberato lungo il fiume. È stato un attimo. L’assassino gli ha tranciato di netto la trachea con un coltello da cucina lungo 20 centimetri. Stefano, come riportato dai medici, è morto in pochi secondi, affogato nel proprio sangue. Il povero ragazzo sarebbe quindi stato ucciso per un raptus di follia. Ma la cosa che più crea sconcerto è che agli inquirenti Said ha detto di aver agito senza un motivo: “Volevo ammazzare un ragazzo come me. Volevo togliergli tutte le promesse che aveva, la promessa dei figli. Volevo toglierlo ai suoi amici e ai suoi parenti”, ha spiegato. E quando gli è stato chiesto perché avesse scelto proprio Stefano, ha replicato che non sopportava quella sua “aria felice e serena”. Un movente inaccettabile per la Procura e per i familiare che, sentendo le motivazioni, sono rimasti senza parole. “Il pensiero che Stefano sia morto per uno sguardo, forse per un sorriso che aveva regalato al suo assassino, è inaccettabile – ha detto il papà Maurizio. – È come se lo avessero ucciso un’altra volta. Non riesco a farmene una ragione”.
Il racconto di Said, che si è presentato spontaneamente alle forze dell’ordine domenica scorsa, è stato accuratamente vagliato dai carabinieri ed è risultato credibile. L’uomo, con un precedente per maltrattamenti in famiglia, soffriva di depressione ed era seguito dai servizi sociali. Pare che si trovasse vicino al fiume per caso, mentre vagava in preda alla disperazione dopo essere stato lasciato dalla moglie e aver perso la possibilità di vedere i figli. “La cosa peggiore – avrebbe detto parlando della sua vita – è sapere che il mio bimbo di quattro anni chiama papà l’amico della mia ex compagna”.
Non è la prima volta che qualcuno si costituisce per l’omicidio di Stefano. La scorsa settimana una persona si era presentata ai Carabinieri, ma era stata ritenuta inattendibile dopo l’interrogatorio. Questa volta l’esibizione dell’arma del delitto ha segnato la svolta. Il coltello era proprio nel posto in cui Said ha detto di averlo nascosto, una cabina dell’Enel a qualche chilometro di distanza dal luogo del delitto, e da un primo esame è risultato compatibile con l’arma del delitto. Ma c’è ancora chi ha dei dubbi. Per l’avvocato di Said, Basilio Foti, ad uccidere Stefano Leo potrebbe non essere stato il suo cliente. E lo ha detto chiaramente oggi in un’intervista a Radio Capital: “secondo me non è stato lui, ci sono troppe incongruenze. È un mitomane”.
