Premio Strega: Morto Antonio Pennacchi. Le dediche da Zingaretti e Franceschini.

È morto oggi a 71 anni nella sua abitazione a Latina lo scrittore Antonio Pennacchi, considerato uno dei massimi autori italiani e vincitore tra l’altro del premio Strega. Secondo le prime ricostruzioni sarebbe stato colpito da un infarto mentre era al telefono.

Nato nel 1950 da madre veneta e padre umbro, coloni della bonifica dell’Agro Pontino, Pennacchi lavorò per un certo periodo come operaio dell’Alcatel. Decise poi di dedicarsi alla politica, prima nel Movimento sociale italiano, in seguito nel partito marxista-leninista italiano, poi nel PSI a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, quindi nella Uil e infine alla CGIL, fino a quando Sergio Cofferati non lo fece espellere nel 1983.

Con l’espulsione, Pennacchi decise di chiudere con la carriera politica e di dedicarsi a quella letteraria, tornando anche a studiare. Iscritto alla facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza di Roma si laureò con una tesi su Benedetto Croce. Nel 1994 venne finalmente pubblicato il suo libro “Mammut”, che negli 8 anni precedenti aveva collezionato 55 rifiuti da parte di 33 editori.

Da lì in poi fu un continuo successo, con una serie impressionante di opere, tra cui “Palude. Storia d’amore, di spettri e di trapianti” nel 1995, “Una nuvola rossa” nel ’98, il romanzo autobiografico “Il Fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi” nel 2003, dal quale Daniele Lucchetti realizzerà il film “Mio fratello è figlio unico”. Nel 2010 arrivò poi la consacrazione definitiva con la prima parte di “Canale Mussolini” finalista del Premio Campiello e vincitore del Premio Strega. Nel 2015 uscì la seconda parte di Canale Mussolini e nel 2018 “Il Delitto di Agorà”, fino alla sua ultima opera del 2020, “La strada del mare”.

Fumatore accanito, dal carattere brusco e sincero, sottolineò spesso che negli ultimi anni gli italiani avevano ormai perso interesse per la politica, dichiarando che un tempo “La gente pensava fosse giusto interessarsi della cosa pubblica. C’erano ancora le ideologie e, forse sbagliando, la certezza di costruire un mondo migliore. Questo lo abbiamo perso, ma è necessario recuperarlo”.

A gennaio di quest’anno Pennacchi aveva anche scritto una lettera aperta a Giorgia Meloni: “Cara Giorgia ti prego: dite di sì all’unità nazionale. Dopo la seconda guerra mondiale e quella di liberazione, le forze socialcomuniste e cattoliche – da sempre acremente divise – seppero trovare quel minimo di concordia necessario a costruire assieme l’unità del popolo, una costituzione democratica repubblicana e il conseguente miracolo economico degli anni cinquanta e sessanta che portò l’Italia ad essere, dal Paese povero e sottosviluppato che era prima, la quinta o sesta potenza economica mondiale panico di adesso”.

Secondo le prime ricostruzioni, questa mattina lo scrittore era al telefono, quando la moglie a un certo punto, non sentendolo più parlare, si era allarmata e gli aveva chiesto se stesse bene. Vedendolo privo di sensi ha chiamato il 118, e subito i soccorsi hanno provato a sottoporlo a defibrillazione senza successo.
Molti i personaggi della cultura e della politica che hanno dedicato un pensiero al celebre scrittore.

Dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, che su Facebook ha scritto “Con Antonio Pennacchi ci lascia un grande scrittore, un intellettuale libero, schietto e irriverente. Ha raccontato con grande passione un pezzo della nostra terra e della nostra storia” fino al ministro della Cultura Dario Franceschini: “Antonio Pennacchi è stato il primo, grande narratore di un’Italia che fino ai nostri giorni era stata dimenticata. Con i suoi saggi sulle città di Fondazione, raccolti poi in un fortunato volume, e, soprattutto, con la sua vena narrativa esplosa nel romanzo Canale Mussolini”.

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