Il futuro della scuola italiana fra banchi a rotelle, classi pollaio e scuole fatiscenti

L’emergenza Covid ha avuto (almeno) il merito di svelare in modo drammatico tutte le problematiche più impellenti dell’attuale scuola italiana: la mancanza di un corpo docente stabile, di beni di prima necessità nelle aule e nei bagni (come sapone e carta igienica), di un numero maggiore di classi per l’elevato (e sempre in aumento) numero di studenti, di un’edilizia adeguata e che invece è spesso fatiscente o non a norma (effettivamente sono tali 8 strutture su 10).
Si tratta di alcune questioni preoccupanti per il presente e soprattutto per il prossimo futuro, questioni che necessiterebbero di un serio finanziamento nazionale così come di un’immediata opera di riqualificazione dell’intero sistema.
I banchi monoposto a rotelle
Eppure, le preoccupazioni dell’attuale Ministra Azzolina (così come il dibattito che quest’ultima ha animato negli ultimi giorni), riguardano in modo quasi esclusivo l’investimento sui famosi banchi monoposto a rotelle che garantirebbero il distanziamento sociale durante tutto il prossimo anno scolastico.
Il commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus, Domenico Arcuri, ha indetto una gara pubblica europea per l’acquisto di un massimo di tre milioni di banchi che potrebbero avere addirittura un costo di 300 € ciascuno (contro i 50 di uno tradizionale!).
I contratti con l’azienda incaricata di realizzarli andrebbero poi firmati entro il 7 agosto, mentre la consegna nelle classi sarebbe prevista per il 31 agosto.
Ovviamente parliamo di una soluzione tanto dispendiosa quanto assurda: è chiaro che si tratti di un’inutile quanto esosa misura di sicurezza, cui si potrebbe ovviare con un semplice (e veramente definitivo) distanziamento se solo i locali fossero tutti della grandezza adatta a contenere una media di 27 alunni per classe.
I veri problemi della scuola italiana
Eh già, perché il vero problema non sono tanto i banchi nelle nostre scuole, ma se mai l’esigua quantità di istituti comprensivi che già faticano ad andare avanti a causa degli 8 miliardi di tagli realizzati in questi ultimi dieci anni.
Se avessimo un numero di scuole proporzionato a quello dei discenti – e degli aspiranti docenti disponibili ad insegnare sin da un’età piuttosto giovanile – non saremmo nella condizione di dover fingere che i problemi si affrontino attraverso un investimento così discutibile.
Quando in molti hanno sollevato obiezioni e polemiche in merito – specie sulla possibilità che i ragazzi possano utilizzare i banchi come “macchinine a scontro” o cose simili – la Ministra ha inoltre specificato che si tratterà di oggetti destinati agli studenti delle superiori.
A questo punto sorge spontaneo chiedersi se l’Azzolina sia mai entrata davvero in una classe di quel grado scolastico almeno per verificare la maturità della media degli studenti che ne fanno parte, e che saranno contentissimi di cimentarsi in delle gare di velocità durante la ricreazione (se non durante le stesse lezioni…).
Banchi a parte, rimane lo scandalo di un investimento che non risolve in concreto nessuno degli attuali problemi della scuola italiana, la quale per altro dovrà aspettare ancora un pezzo prima di avere accesso a una minima parte dei soldi previsti dal Recovery Fund (circa 10 dei 172 miliardi di euro). Si parla infatti del 2022 (per il 60%) mentre il resto dovrebbe essere fornito nel 2024.
Insomma, bisogna aspettare (e non è detto che nel frattempo l’Italia non avrà cambiato almeno un altro paio di ministri dell’istruzione) un dato di fatto che aumenta l’incertezza sui prossimi fondi assicurabili in futuro.
Fondi esigui rispetto alla cifra totale, certo, ma di cui la scuola italiana ha un immenso, immediato bisogno.
