Incidente Corso Francia: Pietro Genovese in aula il 13 luglio
Secondo la perizia l'incidente che ha visto la morte di Gaia e Camilla non è stato soltanto una tragica fatalità ma anche la velocità sostenuta del figlio del regista Paolo Genovese avrebbe influito sull’impatto
Si terrà il prossimo 13 luglio la prima udienza del processo ai danni di Pietro Genovese, accusato di omicidio stradale plurimo aggravato per aver investito Gaia Romagnoli e Camilla von Freymann lo scorso 21 dicembre. Il figlio ventenne del regista Paolo Genovese, agli arresti domiciliari da Natale, verrà giudicato con rito abbreviato dopo che la richiesta di patteggiamento a 2 anni e 6 mesi di reclusione, avanzata dagli avvocati Franco Coppi e Gianluca Tognozzi, è stata respinta dal pm Roberto Felici. Il dibattimento ruoterà attorno alla perizia disposta dalla Procura per accertare la dinamica dell’incidente avvenuto nella Capitale a Corso Francia, nel quale le due amiche sedicenni persero la vita. La perizia, affidata al dottor Mario Scipioni, si basa sulle testimonianze, sulle misurazioni eseguite sull’asfalto e, soprattutto, sui fotogrammi immortalati dalla telecamera di videosorveglianza di un Compro oro situato nelle vicinanze. Secondo la ricostruzione del perito, “nelle fasi antecedenti di due secondi l’impatto, né Genovese né i pedoni potevano reciprocamente avvistarsi”. Dunque, sarebbe bastato un secondo e mezzo di ritardo per evitare il tragico incidente. La visuale di Pietro Genovese sarebbe stata ostruita da una vettura bianca che lo precedeva, che avrebbe rischiato anch’essa di investire le due ragazze che stavano attraversando la carreggiata dal lato Ponte Milvio in direzione Collina Fleming mentre il semaforo era ancora rosso. Tuttavia la perizia sottolinea anche come, seppur il giovane sia passato con il semaforo verde e la sua mancata reazione “in una situazione di pericolo” sia “compatibile con l’avvistamento delle sedicenni in poco più di un secondo”, è probabile che l’impatto non si sarebbe verificato se l’automobile guidata da Pietro Genovese, che procedeva a circa 90 km/h, avesse rispettato il limite di velocità di 50 km/h. Ad aggravare la posizione del giovane, inoltre, concorrerebbero due circostanze aggravanti: da una parte dal verbale della polizia giudiziaria risulta che il suo tasso alcolemico fosse di tre volte superiore al livello consentito, dall’altra le analisi sul suo cellulare avrebbero evidenziato che Pietro Genovese fosse al telefono al momento dell’impatto in quanto aveva appena inviato quattro immagini e un video a diversi destinatari.