L’arte italiana dalla fine dell’ottocento al novecento. Da Boldini a Marinetti

L’arte italiana dalla fine dell’ottocento al novecento. Da Boldini a Marinetti

lìarte italiano fra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento è caratterizzata da forme artistiche di grande novità di cui il futurismo di Filippo Maria Marinetti è capofila e corrente principale del periodo

Troppo spesso dimentichiamo l’eccezionale portata artistica di un periodo fra i più significativi nella storia del nostro paese: quello dal 1880 ai ruggenti anni ‘20 del Novecento, in cui la civiltà europea ha finalmente conosciuto la modernità attraverso il progresso e le avanguardie storiche.
Centro nevralgico di questa autentica rivoluzione culturale e umana – nonché tappa imprescindibile per qualsiasi artista desideroso di affermazione – fu naturalmente Parigi, in cui la tour Eiffel si ergeva sfavillante di luci elettriche per la famosa esposizione universale del 1889.
La fiducia nella scienza e le novità nell’intrattenimento – caffè, teatri, cabaret, mostre di pittura, concerti – non tardarono a condizionare anche il contesto italiano, in cui pittori del calibro di Boldini, De Nittis, Casorati e Boccioni hanno contribuito a immortalare una fra le epoche più spensierate del nostro passato, per questo denominata “belle époque”.

Sopra: un dipinto di Giovanni Boldini.
Soggetto preponderante e prediletto per la maggior parte delle opere prodotte in questa fase era la donna, ritratta in alcune delle pose più attraenti e rappresentative di un’evoluzione riguardante soprattutto la moda e i costumi, ma anche i momenti pubblici di una società fondamentalmente borghese come le escursioni al parco o alle riviere, le passeggiate e gli appuntamenti, le gite al lago o al mare, la vita notturna nei teatri e nei caffè, le passeggiate a cavallo, i riti mondani, le galanterie, i vizi e gli eccessi.
Inimitabile nella rappresentazione di tutto ciò è stato Giovanni Boldini, specializzato nella ritrattistica (soprattutto femminile), eclettico e versatile nelle composizioni movimentate ed elettrizzanti che lo allontanavano dallo stile statico dei Macchiaioli anticipando il successivo Futurismo.
Nato in Italia all’inizio del XX secolo e così denominato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti, il movimento futurista fu anche la prima avanguardia europea, capace di condizionare le relative correnti in Russia, Francia, Stati Uniti d’America e Asia.

Il suo sviluppo fu complesso e variegato, da articolare in tre periodi fondamentali: quello del Manifesto Futurista (1909) seguito dal Manifesto dei pittori futuristi (1910) quali Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo, che esaltavano i miti della velocità, del progresso tecnologico, del militarismo e della guerra, il Secondo Futurismo (1918-1928) legato alla pittura post-cubista e costruttivista, e l’ultima fase (1929-1939) influenzata dalle idee surrealiste.
In quest’ultima corrente spiccano le personalità di Enrico Prampolini e Ardengo Soffici, notevoli rappresentanti di quello che è rimasto noto come il “Terzo Futurismo” e che insieme alla fase precedente ha avuto nel regime fascista un indubbio sostenitore, avendone abbracciato le scelte stilistiche e godendo per questo di speciali favori.

Sopra: un’opera di Prampolini.
In linea con l’ideologia fascista erano proprio l’esaltazione dei principi interventisti, della “macchina” (aeroplani, treni, automobili), dell’estetica della velocità e dei soggetti in movimento, ritratti nell’evoluzione della loro immagine.
Senza dubbio nessun’altra corrente artistica italiana ha dimostrato di possedere una così elevata capacità d’ingegno e genialità nel proporre idee rivoluzionarie in un contesto internazionale, contribuendo a consacrare l’epoca a cavallo fra i due secoli scorsi come la più straordinaria sotto un profilo artistico, urbano e sociale.

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