Quando far musica era (anche) un atto politico: il Risorgimento italiano attraverso i suoi musicisti

È noto che il Risorgimento sia tutt’oggi considerato come una delle pagine di storia più gloriose e significative del nostro paese. Non si tratta solo di un periodo contraddistinto da un forte sentimento patriottico, motivato dal sano desiderio di rivalsa sociale e libertà dall’invasore straniero, ma di un’epoca in cui il ruolo attribuito dalla società alla musica fu davvero innovativo, addirittura straordinario nelle sue conseguenze.
L’arte musicale infatti era ritenuta per la prima volta, proprio per l’identità astratta quanto ineffabile, la più adatta all’espressione efficace degli ideali e delle emozioni umane a quei tempi inconfessabili altrimenti.
Inoltre essa trovò la massima realizzazione nell’opera lirica, in cui la finzione teatrale contribuiva a rendere il messaggio politico celato nel canto dei protagonisti in chiave metaforica.
Insomma, c’è una spiegazione logica se nell’‘800 il genere musicale di spicco nel nostro paese fu quello del melodramma: i libretti teatrali restituivano gli ideali repubblicani e democratici dei compositori tramite delle realtà storiche spesso lontanissime – in modo tale che gli autori non incorressero nelle mire della censura – ma la capacità espressiva della musica era così eloquente da arrivare alle orecchie di chiunque, soprattutto a quelle delle classi sociali povere e incolte.
Dunque, sebbene tuttora il Risorgimento italiano sia reputato un movimento culturale borghese, lo stesso non si può proprio affermare in merito al pubblico nei teatri d’opera all’epoca. Quest’ultimo aspetto era una conseguenza diretta della musica: a tal proposito Leopardi, nello Zibaldone, sottolineò il carattere popolare delle opere di inizio ‘800 già a partire dal teatro di Gioachino Rossini, la cui arte “riesce per questo universalmente grata”.
Tale realtà fu evidente anche a molti intellettuali e politici, tra i quali Giuseppe Mazzini: la sua idea di Repubblica unitaria italiana era fondata sulla condivisione, da parte dell’intero popolo, delle ideologie espresse innanzitutto dall’arte e più nello specifico dalla musica, omaggiata nella Filosofia al riguardo del 1836.
In quest’ultima al melodramma italiano è attribuito l’illustre compito di essere il “sacerdote di una morale rigenerazione”, parole che riportano un’aura sacrale analoga per altro a quella funzione che gli antichi Greci attribuivano al loro teatro.
L’unificazione dell’Italia realizzata attraverso l’opera lirica ebbe quindi delle radici simboliche e articolate, dovute  a un preciso stile linguistico e letterario; è indubbio infatti che la conoscenza della lingua italiana nei libretti degli autori vicini al Risorgimentoda Salvadore Cammarano a Temistocle Solera – ebbe la massima diffusione, in quanto si trattava di un linguaggio necessario alla comprensione di ideali artistico-politici esportabili e condivisibili in tutta Europa.
Quest’ultimo aspetto fu percepito, prima del contributo di Giuseppe Verdi – com’è noto, il massimo esponente del Risorgimento in musica – nel repertorio di Vincenzo Bellini, le cui partiture possedevano una carica emotiva rimasta intatta nei secoli: solo per fare un esempio, il Coro “Guerra, guerra!” nell’Atto II del suo capolavoro Norma fu censurato perché potenzialmente sovversivo.
La consacrazione delle idee risorgimentali avvenne però grazie ai contributi imprescindibili del primo teatro Verdiano, come il Nabucco (1842) – il cui Va’ pensiero è il tema musicale più rappresentativo del pensiero democratico dell’autore – la Battaglia di Legnano (1849) e i Vespri Siciliani (1855), emblematici del desiderio di libertà dallo straniero.

Sopra: il celebre slogan “Viva Verdi”, acronimo di “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”.

Ora, di musicisti come Rossini, Bellini e Verdi, si sa, ne nascono pochissimi nella storia dell’uomo: eppure, ripensando agli ideali e alle ideologie nelle opere sopracitate, risulta spontaneo chiedersi perché oggi in Italia la musica lirica non sia più ritenuta – a cominciare paradossalmente dai compositori che la realizzano – una delle più potenti portavoci delle cause politico-sociali affrontate dall’umanità.
Senz’altro, attribuendole nuovamente questo ruolo, la sua attuale considerazione da parte dei non-musicisti subirebbe un rilevante cambiamento positivo.

 

Tag: musica, Risorgimento italiano, opera lirica, libretti teatrali, teatro d’opera, lingua italiana, politica italiana, ideali, ideologie, Giuseppe Verdi.

 

Giulia Dettori Monna

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