
Il vero motivo della guerra fra Francesco Lo Voi e il governo di Giorgia Meloni, che ha visto la luce trent’anni fa con l’avviso di garanzia a Silvio Berlusconi
Il caso dell'inchiesta del Procuratore Della Repubblica di Roma, Francesco Lo Voi, costitusce l'ultimo tassello di una guerra "antica" scoppiata fra governo e magistratura e che trova la sua genesi nell'avviso di garanzia famoso a Silvio Berlusconi, al G7 di Napoli nel Luglio del 1994
La surreale e censurabile vicenda degli avvisi di garanzia al presidente del consiglio Giorgia Meloni e agli altri componenti dell’esecutivo, ovverosia il ministro degli interni Matteo Piantedosi, il ministro della giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario alla presidente del consiglio Alfredo Mantovano, è soltanto l’ultimo puzzle di una guerra “antica” che trova la sua genesi nel famoso avviso di garanzia nel Luglio 1994 a Napoli nei confronti del capo del governo di allora Silvio Berlusconi, da parte del procuratore della Repubblica di Milano il defunto Francesco Saverio Borrelli. Analogamente un altro magistrato, Francesco Lo Voi, di Roma il Procuratore della Repubblica di Roma, ha “copiato” per così dire il suo ex collega di Milano, contestando reati inesistenti al governo, su incipit di un avvocato del PD Antonino Ligotti, da sempre difensore di numerose cosche siciliane in vari processi di mafia. Precisando e smentendo in modo categorico le affermazioni dello stesso Francesco Lo Voi , in merito al fatto che la comunicazione di garanzia sia stato un atto “dovuto”, in quanto i PM godono di un potere discrezionale abbastanza ampio, i motivi scaturenti questo avviso di garanzia sono da rinvenire in un grande risentimento personale che sempre Francesco Lo Voi aveva da tempo nei confronti dell’esecutivo, per il fatto che sempre il sottosegretario alla presidenza del consiglio Alfredo Mantovano, aveva disposto la revoca dell’autorizzazione ai voli di Stato per Lo Voi, per i suoi spostamenti da Roma Palermo sua città natale, e dove fino a qualche anno fa è stato Procuratore Della Repubblica. Come già argomentato in modo molto preciso e puntuale dalla Verità, il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, unendo i vari tasselli e punti oscuri di questa contorta questione internazionale, è facile arrivare al puzzle definitivo. Pertanto riassumendo i punti chiave della questione, le obiezioni che si possono muovere all’atto giudiziario della procura romana sono nella sostanza delle cose queste: la mancanza di fondamento della notizia di reato, in quanto al governo nel caso specifico non si può contestare i reati di peculato previsto dall’art. 314 del C.P. e di favoreggiamento previsto sempre dall’art. 378 del C.P., i quanto se l’uno prevede l’appropriazione di denaro o altra cosa mobile da parte di un organo dello Stato, e sarebbe folle pensare che Giorgia Meloni abbia posto in essere questa condotta, l’altro prevede che un organo dello Stato si sia adoperato con una condotta commissiva od omissiva alla fuga del pericoloso soggetto in questione , il generale libico Almasri. In “secundis” per legge non è l’esecutivo che dispone le scarcerazioni ma i tribunali, e nel caso di specie è stata la corte d’appello a revocare l’ordine di cattura per Almasri. Adesso in attesa di nuovi sviluppi, il governo deve cercare di mantenere un autocontrollo notevole e un equilibrio senz’altro precario che deve avere in questo difficile momento, puntando la prua a dritta e centrando gli obiettivi e i punti del programma elettorale, in modo particolare con gli unici veri giudici del governo, ovverosia il corpo elettorale e la volontà del popolo italiano che ha permesso al premier Meloni di andare a Palazzo Chigi nel settembre del 2022.