Stupro a Torino, sentenza ribaltata: l’uomo assolto perchè “la donna non urlava” verrà condannato

Stupro a Torino, sentenza ribaltata: l’uomo assolto perchè “la donna non urlava” verrà condannato

Massimo Raccuia, l'uomo che violentò una sua collega tra il 2010 e il 2011 e che era stato assolto in primo grado perchè il racconto della vittima non è risultato credibile, è stato condannato a 4 anni e mezzo di reclusione

Massimo Raccuia, il dipendente della Croce Rossa, accusato di violenza sessuale nei confronti di una collega all’interno di una piccola stanza dell’ospedale Gradenigo di Torino tra il 2010 e il 2011, poi successivamente assolto con la sentenza di primo grado, è stato condannato a 4 anni e mezzo di reclusione dalla Corte di Appello.

Una condanna che ribalta quelle precedenti. Potremo definirli “clamorosi” i motivi per cui era stato assolto; in primis non era risultato credibile il racconto della donna, “perchè non grida, non urla, non piange. Risponde alle chiamate mentre lui la aggredisce, senza insospettire il centralinista”. Una sentenza che aveva fatto discutere e aveva fatto scatenare qualche polemica, il giudice ai tempi, aveva deciso di trasmettere gli atti in procura così da procedere contro la vittima per calunnia.

Poi successivamente, durante il processo, la donna è stata ascoltata di nuovo, confermando ciò che aveva già raccontato e questa volta è risultata credibile, anche se l’uomo era stato comunque assolto, in quanto la donna non aveva sporto denuncia per paura essendo comunque sia un suo superiore, per poi denunciare una serie di episodi accaduti negli ospedali San Giovanni Bosco e Mauriziano. Ma mentre la prima volta il racconto era stato giudicato “inverosimile”, la seconda invece l’uomo era stato assolto perchè la querela era stata tardiva. E così, a distanza di anni, l’uomo è stato condannato per i reati commessi e la donna ha  finalmente ottenuto un pò di giustizia, quella giustizia che si meritava.

“Giustizia è stata fatta. Sono passati 10 anni, è vero. E ad un certo punto sembrava persino che sotto processo ci fossimo noi. Ma voglio lanciare un messaggio a tutte le donne: crederci e crederci sempre. Possono verificarsi degli errori, come nel nostro caso la sentenza di primo grado. Ma non bisogna mai abbandonare la fiducia e la speranza” ha dichiarato il legale della donna.

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